Il Tang Su Do è un’espressione del Bu-Do tradizionale e affonda le radici nelle filosofie del Taoismo e del Buddismo.
Il Gran Maestro Roberto Daniel Villalba (8°Dan) lo introduce in Italia nel 1977 e fissa nel Hak Won la propria impronta stilistica, insieme ai suoi collaboratori più stretti. Attualizzazione ed evoluzione rese possibili dalla sinergia tra studi approfonditi ed esperienza pluridecennale di insegnamento.
I principi fondanti sono l’educazione alla non-violenza, la ricerca della salute nel binomio corpo-mente, il servizio verso il prossimo, la mutua amicizia, la coscienza e consapevolezza dei comportamenti, la cultura degli insegnamenti tradizionali.
La pratica inizia dal corpo (Wai-Kung: lavoro esterno) per poi equilibrare la mente (Nei-Kung: lavoro interno) e risalire fino allo spirito (Shim-Kung: lavoro spirituale).
Il Tang Su Do Hak Won, affiliato allo CSEN, diffonde attivamente i propri principi in Italia e all’estero.
Alleneremo il corpo e la mente in accordo con lo Spirito dell'Arte della Difesa personale
Coltiveremo lo spirito dell'unificazione collettiva attraverso la mutua amicizia
Troveremo la pace in noi stessi e la porteremo agli altri essendo degni, umili, sereni e rispettosi
Pace è Forza!
Le origini, le tecniche e la filosofia del Tang Su Do sono poco conosciute nel nostro Paese. Pertanto gli autori, analizzandone i molteplici aspetti, si propongono in queste pagine di chiarire o far conoscere quest'antica ed ancora tradizionale arte marziale coreana.
I diversi argomenti trattati, quali la storia della Corea, le origini delle arti marziali, i suoi fondamenti filosofici, la spiritualità e la pratica, le vicende politico-sportive, e la dettagliata spiegazione della parte tecnica, permettono al lettore di acquisire una visione globale ma al contempo approfondita del Karaté Coreano.
Il testo è arricchito da oltre 500 fotografie e disegni che lo rendono adatto sia come manuale per i praticanti, sia come testo di «presentazione» al grande pubblico. Il volume risulterà sicuramente interessante a tutti gli appassionati di arti marziali, e in particolare a quanti praticano Karaté, Kung Fu e Tao Kwon Do.
Il Kata rappresenta la sublimazione del movimento contenuto nella tecnica delle arti marziali.
La sua ripetizione fino all'automatismo, fino a divenire tutt'uno con esso, fa del praticante un ricercatore della perfezione.
In questo senso, le «forme» dal Tang Su Do possono essere definite una «via esoterica», un modo per scoprire e realizzare l'assoluto che è in noi, rendendo nuovamente «uno» il molteplice.
L'Autore offre una spiegazione ampia e approfondita del Kata nelle Arti Marziali e nel Tang Su Do in particolare. Ne traccia una storia e ne spiega i significati fino ai diversi livelli di comprensione.
Il testo passa quindi ad illustrare, con l'ausilio di 440 fotografie, l'esecuzione tecnica dei Kata e le sequenze di movimenti che li costituiscono.
Nel pensiero dei maestri fondatori - Kano in primis - il Bu-do è per tutti, va diffuso come cultura popolare. Infatti, se si aspira ad una società migliore, il Bu-do nelle sue varie forme dovrebbe essere insegnato innanzitutto ai giovani, situandosi al di sopra d'ogni diversità culturale, generazionale, confessionale, economica.
Il Bu-do moderno si propone come una Via educativa per la vita, un metodo psico-fisico articolato in tre livelli facoltativi e in tre tappe obbligatorie per ciascun livello.
Ogni genuina specialità del Bu-do accredita la conoscenza, coniata dal taoismo classico, dei tre lavori tipici che configurano il do: il lavoro esterno {wai kong), il lavoro interno {nei kong) e il lavoro spirituale (shen kong), impegni personalissimi che segnano livelli di conoscenza e di essere. Livelli facoltativi, perché scelti secondo aspirazione o vocazione, ma possibili d'essere effettivamente conquistati secondo la propria capacità e destino, ovverosia secondo volontà cosciente. Le tappe obbligatorie per ciascun livello si riepilogano nel paradigma metodologico chiamato shu-ha-ri. Per chi intraprende un'arte marziale, la conoscenza "interna" proviene da altri: da quelli che sanno; in ciò non differisce dall'istruzione "esterna"; tuttavia si coltiva con uno sforzo d'interiorizzazione unicamente personale. Sforzo - o lavoro - che si realizza sintetizzando la conoscenza ricevuta dal maestro con le intuizioni apportate dal proprio sguardo interiore; sforzo che prosegue con l'autocritica di ciò che si è e finisce con la conoscenza di ciò che consapevolmente si può diventare.
Studioso eclettico e instancabile ricercatore, il Caposcuola Fondatore (Kwan Chang Nim) Gran Maestro Roberto Daniel Villalba (9° Dan) è stato in primo luogo un vero marzialista. Praticando il Tang Su Do quotidianamente, rigorosamente in Dobok, è stato l’esempio e il modello per migliaia di allievi, nelle Americhe prima e in Europa poi.
Nato a Buenos Aires nel 1950, all’età di quindici anni inizia la pratica dello yoga e delle arti marziali.
Pratica il Judo (FYBA) ottenendo dopo tre anni la cintura nera 1° Dan insegnandolo nel prestigioso "Istituto Vecchio" di Mar del Plata.
Prosegue il suo percorso marziale nel Tang Su Do Chung Do Kwan (sotto la denominazione generica di Taekwon-Do I.T.F.) con il Maestro Han Chang Kim risultando nel 1973 la quinta cintura nera di TKD in Argentina e il primo istruttore fuori della Capitale Federale (Buenos Aires city).
Dopo aver viaggiato negli USA e aver conosciuto il suo futuro sunbè (“padrino”) Theodore (Ted) Mason riscopre il Tang Su Do nello stile del Mu Duk Kwan. Ne consegue il 3° Dan nel 1975 ricevendo la qualifica di istruttore ufficiale (Kyò-Sa) per condurre il Tang Su Do ormai frammentato in Argentina.
Nel 1977 ottiene la qualifica di Maestro (Sa-bom) superando positivamente l’esame per 4° Dan davanti al Kwan Chang Nim (Gran Maestro) Hwang Kee (10° Dan), venuto dalla Corea negli USA per presiedere gli esami. Nel novembre dello stesso anno si reca in Italia per introdurvi il Tang Su Do, come rappresentante designato dallo stesso Hwang Kee.
Prosegue così il suo percorso ricevendo dal G. M. Jae Joon Kim l'incarico di D.T. Europeo per la sua organizzazione (American MDK TSD Assn.) e raggiungendo nel 1994 il 7° Dan, massima categoria di livello tecnico.
Nel 2009, nella "Sala dei Congressi" del CONI, al cospetto di 19 dignitari del mondo della politica e dello sport, riceve l"Oscar del Budo" come premio alla sua carriera, nonché l'8° Dan conferitogli "ad honorem" dal presidente del CSEN Nazionale prof. Francesco Proietti.
Risalendo la corrente alla ricerca della radice vera dell'arte marziale, come era solito ripetere, fonda lo stile Tang Su Do Hak Won e l'Accademia che porta lo stesso nome.
Decenni di esperienza nell'insegnamento e di ricerca lungo il Do, oltre ai suoi studi (Laureato in Filosofia Classica, specializzato in Orientalismo e in Scienza delle Religioni e studioso di Antropologia Archeologica), lo hanno portato a dare la luce nel 2017 alla sua ultima pubblicazione “Budo Esoterico”: un lascito prezioso per l'Hak Won e per tutti i sinceri cultori e ricercatori delle Arti Marziali.
Ci ha lasciati troppo presto, il 4 febbraio del 2021.
La sua elegante figura, che fino al giorno prima calcava il tatami, risiede ora sul Kamiza dei nostri Dojang. Il suo insegnamento risiede nella nostra Arte.
Presidente e referente nazionale
Vicepresidente
Segretario
Responsabile
Responsabile
Responsabile
Responsabile
Responsabile
Letteralmente: anche una strada di mille ri comincia da un passo.
Anche un viaggio lungo mille miglia comincia con un passo*.
Anche il più lungo cammino inizia con un piccolo passo, recita l’antico proverbio. Per chi, come noi, pratica le Arti Marziali Orientali il cammino è identificato con il “Do”, la via al perfezionamento interiore: nello specifico il Bu-Do (武道, Mu Do in coreano), la Via Marziale.
Metaforicamente potremmo dire che il primo passo lungo il cammino del Tang Su Do consiste in un Hadan Maki (parata bassa). Chiedete a un Dan, a un Istruttore, a un Maestro quante volte hanno eseguito questo gesto … centinaia, migliaia, decine di migliaia? Eppure, per chi sa “sentire”, ogni ripetizione porta con sé il piacere di riattualizzare, di dare nuova vita e forma a un gesto antico, che travalica le generazioni così come le latitudini, che riscopriamo e salutiamo ogni volta come si farebbe con un vecchio amico.
Nell’esecuzione corretta di un gesto così semplice (la prima cosiddetta “tecnica” che si insegna al principiante) si mette già in atto gran parte dell’insegnamento tecnico del KaraTe (Tang Su) e, contestualmente, del suo significato più profondo: ricercando la precisione del gesto, controllando l’energia applicata, verificando la tensione e la distensione muscolare, applicando l’intenzionalità, sfruttando il tempismo, mettendoci la giusta grinta, regolando la respirazione, mantenendo l’equilibrio e così via ci si avvicina progressivamente all’ideale unione corpo/mente/spirito che sta alla base di tutte le forme di Bu-Do tradizionale; la ricerca di questa unione per il beneficio personale e collettivo è il fondamento filosofico del nostro Hak Won: ereditato dal Taoismo, che pur si avvale di altri mezzi per raggiungerlo, e filtrato attraverso il setaccio della pratica centenaria dell’Arte Marziale Orientale.
È evidente come questo significhi abbracciare un paradigma completamente diverso da quello proposto dallo sport in generale e dagli sport di combattimento in particolare: senza questa consapevolezza la parata, così come qualunque altra tecnica, si riduce al mero gesto tecnico, atletico, mirato alla ricerca della performance fine a sé stessa; in questo modo si perde di vista un aspetto fondamentale dell’Arte: l’energia profusa nella ricerca del perfezionamento esteriore è il primo carburante necessario per innescare il processo ricorsivo che, in un gioco dinamico e sinergico tra lavoro interiore ed esteriore, porta il praticante a raggiungere progressivamente superiori livelli di comprensione, tanto nel Bu-Do quanto nella vita. Una ricorsività che tuttavia non è mai ripetizione dell’identico, bensì continua evoluzione, ed è ben simboleggiata da una spirale tridimensionale, non a caso scelta come immagine rappresentativa del cammino del Bu-Do dal Chong Nye Nim nel suo “Bu-Do Esoterico”.
Se questo non è compreso, e applicato, ecco che l’ideale di Via, “Do”, come cammino di crescita individuale e collettiva viene meno: così come si può smarrire il sentiero in un bosco, il praticante che non ha acquisito questa consapevolezza perde il riferimento interiore che lo guida nel Bu-Do; al contempo, nel caso abbia ruolo di insegnante, non sarà in grado di passare agli allievi questa fondamentale verità né tantomeno educarli ai valori e ai principi che essa porta con sé: questo significa irrimediabilmente, anche se spesso inconsapevolmente, la rinuncia al “Do” e al suo messaggio profondo. Il Chong Nye Nim Roberto Daniel Villalba ci ammoniva spesso su questo, ci ricordava quanto frequentemente questa rinuncia più o meno consapevole sia avvenuta nel panorama delle Arti Marziali e ci metteva in guardia ricordando le parole del grande Maestro di Judo Cesare Barioli, che distingueva categoricamente il Ju-Do dal Ju-Sport. L’esperienza di decenni, poi, ci ha confermato di prima mano come la mancanza dell’a spetto interiore (Nei) porti inevitabilmente, nel corso del tempo, a un significativo impoverimento dell’efficacia nella pratica esterna (Wai).
I quattro Pavyi Cho (la cui traduzione può essere resa come “roccia fondamentale”) sono stati costruiti e sistematizzati dal Chong Nye Nim Villalba e sono impiegati nel nostro Hak Won in sostituzione dei precedenti tre “Ki Cho”, che qualcuno sicuramente ricorda; analoghi a questi ultimi nella funzione, i Pavyi Cho sono in realtà di sostanza diversa.
Entrambi i gruppi di esercizi, che potremmo chiamare “proto-forme” in quanto non propriamente “forme tradizionali”, sono schemi (patterns) mirati ad insegnare ai principianti le tecniche di base in spostamento dinamico lungo diverse direzioni. A differenza dei predecessori, però, i Pavyi Cho hanno una superiore efficacia didattica grazie alla loro organicità e completezza: nell’esecuzione della serie intera si praticano le 18 forme base di braccia sfruttando le tre posizioni fondamentali: Ciongul (postura della Tigre), Sakolip (postura del Bue) e Hugul (postura del Gatto). Questa non è una differenza da poco e ci fa capire l’amore del Maestro per le cose ben fatte: non in rottura con la tradizione, questo è certo, ma con misura e ponderazione: integrando, modificando, a volte sottraendo al fine tanto di perfezionare l’Arte quanto di rendere più efficiente il processo di trasmissione della preziosa conoscenza.
Il Maestro ci ha lasciati lo scorso 4 febbraio, un anno fa: ma non ci ha lasciati soli! Sicuramente sono vivissimi in molti di noi i ricordi personali di tante ore passate insieme a discutere di Arti Marziali e non solo, a fare progetti, a scontrarsi con l’ottusità della burocrazia che ostacolava la nostra vita associativa: soprattutto a confrontarsi su come “risalire la corrente come i salmoni” per cercare nella tradizione le chiavi perdute per poi sottometterle alla prova della verità applicativa, in un continuo ricercare che risuona del classico adagio “la meta è il cammino”.
Al di là di questo c’è in ogni caso il patrimonio di conoscenza che ci ha lasciato: nei suoi scritti, nei suoi insegnamenti: in ultima analisi con l’eredità tecnica e filosofica del Tang Su Do Hak Won, che oggi è la più pura espressione del lavoro di una vita di sincero ricercatore delle Arti Marziali. Sia chiaro: i Pavyi Cho non sono la manifestazione più avanzata e ardita della sua opera, ma sono appunto le solide fondamenta su cui tutta l’imponente architettura si appoggia senza timore.
Oggi la sua eredità risiede nelle nostre mani e in quelle dei nostri allievi, a cui un giorno passeremo il testimone. L’aver in parte contributo a questa conoscenza, cosa di cui dobbiamo essere giustamente orgogliosi, non ci fa però dimenticare la delicatezza dei compiti che il Bu-Do ci ha assegnati: preservare l’insegnamento ricevuto e allo stesso tempo continuare lungo il percorso di ricerca con gli strumenti di cui il Chong Nye Nim ci ha per primo dotati.
Per concludere, credo che se dovessi scegliere il ponte ideale, metaforico, per rappresentare questo continuo scambio di conoscenze ed energie tra il vecchio e il nuovo, tra il Maestro e l’allievo, questo sarebbe proprio il Pavyi Cho Il Bu, il primo, che – guarda un po’! – ha inizio con una parata bassa.
Tang Su!
M° Carlo Borghi – Presidente Tang Su Do Hak Won
*la versione originale del proverbio si deve al filosofo cinese Laozi (o Lao Tzu) 老子, considerato il fondatore del Taoismo.